Il Regno d'Italia

[...] Si vocifera che, presto, vi sarà un nuovo Regno d’Italia, libero dagli invasori stranieri e anch’io ne sono convinta, mia cara.
Attualmente, il Re e la Regina di Borbone si sono asserragliati a Gaeta, ultimo baluardo a difesa del Regno delle Due Sicilie, ma credo non resisterà a lungo.
Questo, quanto accaduto negli ultimi mesi. Come avrei desiderato poter condividere con te l’entusiasmo e l’eccitazione per tali incredibili avvenimenti e, invece, un oceano intero ci separa. Mi auguro di recarti notizie ancora più confortanti nella prossima lettera. Ricorda la nostra amata Italia nelle tue preghiere, che questa guerra sia vittoriosa e porti finalmente un po’ di pace e prosperità. [...]




In Italia, nella primavera del 1860, la situazione politica era molto fluida e lo stesso Cavour cominciava a pensare alla possibilità di un’unificazione della penisola.
A dare l’avvio a una ripresa rivoluzionaria furono gli eventi siciliani quando, contro il giovane e inesperto sovrano Francesco II, nell’aprile del ’60 esplose l’ennesima rivolta a Palermo. Il partito d’azione convinse Garibaldi ad agire direttamente in Sicilia, anche perché Vittorio Emanuele, era disposto ad aiutare i volontari, contro il parere di Cavour il quale, come primo ministro, non poteva compromettersi specialmente agli occhi di Napoleone. Dal canto suo il Mazzini esortava tutti ad agire concordemente al fine di realizzare l’unità della penisola.
Garibaldi ai primi di maggio del ’60 passava all’azione con i suoi Mille volontari.
Partiti da Genova, dopo una breve tappa nel porticciolo di Talamone, dove una piccola colonna lasciò Garibaldi per marciare direttamente su Roma, la spedizione raggiunse per mare la Sicilia occidentale e l’11 maggio sbarcò a Marsala. Garibaldi, assunta la dittatura in nome di Vittorio Emanuele, marciò verso l’interno con i suoi Mille, che rivestivano l’ormai leggendaria camicia rossa, rinforzati da "picciotti" cioè dai giovani contadini e braccianti che speravano in una riforma agraria che una volta per tutte eliminasse tanti soprusi ed ingiustizie.
Battuti i borbonici nella difficile battaglia di Calatafimi, il 15 maggio Garibaldi occupava Palermo e nel luglio batteva ancora le truppe regie a Milazzo, mentre il sovrano di Napoli tentava disperatamente di fermarlo, concedendo una tardiva Costituzione e affidando il governo a Liborio Romano. Una speranza vana e una fiducia mal riposta: il Romano, d’accordo con Cavour cercò di provocare in Napoli un moto di moderati monarchici, allo scopo di precedere Garibaldi alla liberazione del napoletano. Intanto Garibaldi, superato lo stretto di Messina, risaliva liberamente la Calabria mentre l’esercito borbonico si disfaceva e il 7 settembre entrava in Napoli; Francesco II si rifugiava allora a Gaeta, protetta ancora da una parte del suo esercito, nonstante il "tradimento" di buona parte dell'ufficialità.
Praticamente l’Italia meridionale era libera, nonostante attorno a Gaeta si raccogliessero ancora forti contingenti di truppe borboniche e le piazzeforti di Civitella del Tronto e di Messina non si fossero arrese. Era il momento di prendere decisioni definitive, che avrebbero pesato sul destino di tutta la penisola.
Mazzini che aveva raggiunto Garibaldi a Napoli premeva perché si evitasse il solito plebiscito a favore della monarchia sabauda e insisteva sul progetto di una "Assemblea Costituente" che decidesse del nuovo assetto da dare all’Italia, anche se egli avvertiva chiaramente che ormai il principio monarchico aveva avuto partita vinta. Garibaldi dal canto suo, pensava di risalire con le truppe verso Nord per raggiungere Roma e di lì proclamare l’Unità d’Italia.
Nel frattempo, con la battaglia del Volturno, Garibaldi stroncava un estremo tentativo di riscossa dei borbonici, che erano costretti a rinchiudersi a Gaeta. L'incontro del 26 ottobre, a Teano, tra Garibaldi e Vittorio Emanuele poneva fine alla spedizione di Garibaldi e di fatto assicurava alla dinastia sabauda il Regno delle due Sicilie.
Le truppe garibaldine, non furono incorporate nell’esercito regolare, come era stato richiesto, e il re si rifiutò perfino di passarle in rivista. In conseguenza di questo atteggiamento, Garibaldi, deluso e sdegnato, si ritirò a Caprera.
Il 17 marzo il nuovo Parlamento italiano riunito a Torino poteva ratificare l’avvenuta unificazione, attribuendo a Vittorio Emanuele II il titolo di "re d’Italia"; il 26 marzo il Parlamento approvava un voto solenne che auspicava Roma capitale d’Italia. Il processo risorgimentale e unitario era praticamente compiuto, anche se il Lazio e le Venezie rimanevano escluse.








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